Il legame tra l'incisione e l'illustrazione del libro è antica,potrebbe dirsi istituzionale. Lacasella, però, non l'intende nel senso corrente di parallelismo tra narrazione scritta e narrazione figurata, cerca invece un'assonanza tra il ritmo del testo poetico e quello del testo visivo. Una parte importante della sua vasta ed assai elevata opera incisoria segue il filo poetico della Divina Commedia, ma la continuità non è data dalla successione degli episodi, bensì dal pensiero dell'eterno che forma l'essenza e la ragione unitaria del poema. Al testo ha intrecciato un accompagnamento visivo, correttamente tenuto nella sommessa tonalità di un basso continuo, ma autonomo come potrebbe essere un accompagnamento musicale.
Lacasella è un artista pensoso e sottile, come pochi altri. Il suo stile grafico ricorda, pur senza una reale analogia, quella che già nel Seicento e poi più marcatamente nel Settecento inglese col Bartolozzi, si chiamò “maniera nera”. Il valore di fondo è infatti il nero, che tuttavia ha spesso modulazioni colorate, per lo più in bruno: è il risultato di un delicato e sensibilissimo lavoro di tratteggio e granitura della lastra, che dà alla superficie una morbidezza di velluto e un trattenuto calore tonale, una profondità interna, uno strano splendore luminoso. E' facile individuare il modello remoto, i neri profondi e incredibilmente radianti delle acqueforti di Goya.
Nel flusso della corrente buia come un fiume di notte, con deboli e quasi illusorie schiarite, vagano rare e bizzarre immagini, come larve spettrali, e non sono soltanto un ultimo residuo di figurazione, ma la materializzazione del senso d'enigma che trascorre nel testo, il segnale ricorrente di una dimensione non più terrena, escatologica. Non per nulla il verso che l'artista sceglie come punto di tangenza tra testo letterario e testo grafico è sempre uno dei più arcani, dei più sospesi tra dottrina e poesia. E' appunto il senso di questo arcano che l'immagine profonda e fluida di Lacasella coglie e accentua.
L'originalità e, nello stesso, la taciturna reverenza di questa lectura Dantis per assonanza di sensi e di ritmi distinguono le incisioni di Lacasella da tutte le precedenti illustrazioni di Dante. Quelle che forse studiò di più, nel prepararsi alla difficile impresa, furono le limpidissime immagini lineari di Botticelli, ne mantiene la severità concettuale e la continuità ritmica, ma deliberatamente capovolge la luce bianca in tonalità buia, la chiarezza narrativa in confusione angosciosa, la certezza di salvezza finale nella disperante attesa di un limbo senza tempo.
Giulio Carlo Argan 1985
Lacasella è un artista pensoso e sottile, come pochi altri. Il suo stile grafico ricorda, pur senza una reale analogia, quella che già nel Seicento e poi più marcatamente nel Settecento inglese col Bartolozzi, si chiamò “maniera nera”. Il valore di fondo è infatti il nero, che tuttavia ha spesso modulazioni colorate, per lo più in bruno: è il risultato di un delicato e sensibilissimo lavoro di tratteggio e granitura della lastra, che dà alla superficie una morbidezza di velluto e un trattenuto calore tonale, una profondità interna, uno strano splendore luminoso. E' facile individuare il modello remoto, i neri profondi e incredibilmente radianti delle acqueforti di Goya.
Nel flusso della corrente buia come un fiume di notte, con deboli e quasi illusorie schiarite, vagano rare e bizzarre immagini, come larve spettrali, e non sono soltanto un ultimo residuo di figurazione, ma la materializzazione del senso d'enigma che trascorre nel testo, il segnale ricorrente di una dimensione non più terrena, escatologica. Non per nulla il verso che l'artista sceglie come punto di tangenza tra testo letterario e testo grafico è sempre uno dei più arcani, dei più sospesi tra dottrina e poesia. E' appunto il senso di questo arcano che l'immagine profonda e fluida di Lacasella coglie e accentua.
L'originalità e, nello stesso, la taciturna reverenza di questa lectura Dantis per assonanza di sensi e di ritmi distinguono le incisioni di Lacasella da tutte le precedenti illustrazioni di Dante. Quelle che forse studiò di più, nel prepararsi alla difficile impresa, furono le limpidissime immagini lineari di Botticelli, ne mantiene la severità concettuale e la continuità ritmica, ma deliberatamente capovolge la luce bianca in tonalità buia, la chiarezza narrativa in confusione angosciosa, la certezza di salvezza finale nella disperante attesa di un limbo senza tempo.
Giulio Carlo Argan 1985