Che cosa domandiamo a un pittore? Di liberarci temporaneamente da una visione oziosa e conformistica del mondo.
Quando la pittura si avvicina al nucleo profondo di significazione che presuppone ogni successiva organizzazione formale, il muro opaco che circonda la nostra quotidianità si sgretola. La macchia di muffa, la foglia, il tramonto, una banale porta di accesso, smarriscono il loro potere di rassicurazione e diventano un trauma acuto. E' come se la superficie placida dell'esperienza, fosse investita da un travaglio improvviso, crudamente rischiarata da una luce di conversione e la trama variopinta della “rettorica” conoscesse lo strappo violento della “persuasione”. Eppure, questo è il paradosso, il cammino verso la verità, se mai esiste una verità potente e decisiva, non assomiglia al volo senza ostacoli del desiderio, ma al procedere faticoso e sofferente del pensiero. Anche quando la nostra conoscenza supera per un attimo la soglia della propria integrità , al di là troviamo ancora e soltanto conoscenze, commenti, interpretazioni, come se un dio benevolo impedisse ogni volta al nostro sguardo di scrutare nel fondo impietrato e sgomentevole della vita.
Ora, se penso ai quadri di Lacasella, ho la sensazione di una lotta tenace con quel vuoto corpo grande della verità che costituisce il segreto inaccessibile delle forme e dell'espressione.
Le notti silenziose, le albe senza rimedio, gli orizzonti imprigionati dentro una necessità ferrea, non celebrano l'ora commossa di una rivelazione, ma sono le nude stazioni di un dramma. Lacasella, al pari dei maestri che lo ispirano (da Goya a Friedrich a Hokusai) lavora sullo spazio risicato e ambiguo di un'idea destinata all'inafferrabilità.
Egli dipinge in sostanza un paesaggio interiore, ora aggredito da una spessa oscurità, ora illuminato da fiotti di luce lontana, che è un luogo di inquietudini, di libertà minacciate, di trappole per il pensiero. I suoi squarci di natura, privati di ogni riconoscibilità, sono in questo senso profondamente allegorici: traducono in eco e in risonanza una vicissitudine celata nell'astrazione.
La sua pittura mentre cerca, attraverso le stanze di un labirinto, sempre uguali e sempre diverse, di pervenire a un centro fondamentale, sembra perdersi nella caduca pienezza dell'istante. Ma è una perdita provvisoria che un talento adamantino provvede ogni volta a raccogliere in un ritmo saldo e raziocinante.
Non capita spesso a chi dipinge di riuscire a farsi portatore di problemi, anziché di facili soluzioni. E' invece questa la sigla che accompagna le opere di Lacasella: una volontà tenace di comprensione, una sfida ai gorghi micidiali dell'Assoluto che più che a uno slancio mistico assomiglia a un disperato amore intellettale. Per questo forse le sue immagini sono così intense, perché dietro quelle nature tacite, quella calma vertiginosa, si avverte il taglio, la lacerazione, la veglia insonne. Lacasella, come la sentinella di Isaia, sogna la luce del giorno, ma in tanto misura, nel proprio cuore, l'estensione sterminata della notte.
Paolo Lanaro 1991
Quando la pittura si avvicina al nucleo profondo di significazione che presuppone ogni successiva organizzazione formale, il muro opaco che circonda la nostra quotidianità si sgretola. La macchia di muffa, la foglia, il tramonto, una banale porta di accesso, smarriscono il loro potere di rassicurazione e diventano un trauma acuto. E' come se la superficie placida dell'esperienza, fosse investita da un travaglio improvviso, crudamente rischiarata da una luce di conversione e la trama variopinta della “rettorica” conoscesse lo strappo violento della “persuasione”. Eppure, questo è il paradosso, il cammino verso la verità, se mai esiste una verità potente e decisiva, non assomiglia al volo senza ostacoli del desiderio, ma al procedere faticoso e sofferente del pensiero. Anche quando la nostra conoscenza supera per un attimo la soglia della propria integrità , al di là troviamo ancora e soltanto conoscenze, commenti, interpretazioni, come se un dio benevolo impedisse ogni volta al nostro sguardo di scrutare nel fondo impietrato e sgomentevole della vita.
Ora, se penso ai quadri di Lacasella, ho la sensazione di una lotta tenace con quel vuoto corpo grande della verità che costituisce il segreto inaccessibile delle forme e dell'espressione.
Le notti silenziose, le albe senza rimedio, gli orizzonti imprigionati dentro una necessità ferrea, non celebrano l'ora commossa di una rivelazione, ma sono le nude stazioni di un dramma. Lacasella, al pari dei maestri che lo ispirano (da Goya a Friedrich a Hokusai) lavora sullo spazio risicato e ambiguo di un'idea destinata all'inafferrabilità.
Egli dipinge in sostanza un paesaggio interiore, ora aggredito da una spessa oscurità, ora illuminato da fiotti di luce lontana, che è un luogo di inquietudini, di libertà minacciate, di trappole per il pensiero. I suoi squarci di natura, privati di ogni riconoscibilità, sono in questo senso profondamente allegorici: traducono in eco e in risonanza una vicissitudine celata nell'astrazione.
La sua pittura mentre cerca, attraverso le stanze di un labirinto, sempre uguali e sempre diverse, di pervenire a un centro fondamentale, sembra perdersi nella caduca pienezza dell'istante. Ma è una perdita provvisoria che un talento adamantino provvede ogni volta a raccogliere in un ritmo saldo e raziocinante.
Non capita spesso a chi dipinge di riuscire a farsi portatore di problemi, anziché di facili soluzioni. E' invece questa la sigla che accompagna le opere di Lacasella: una volontà tenace di comprensione, una sfida ai gorghi micidiali dell'Assoluto che più che a uno slancio mistico assomiglia a un disperato amore intellettale. Per questo forse le sue immagini sono così intense, perché dietro quelle nature tacite, quella calma vertiginosa, si avverte il taglio, la lacerazione, la veglia insonne. Lacasella, come la sentinella di Isaia, sogna la luce del giorno, ma in tanto misura, nel proprio cuore, l'estensione sterminata della notte.
Paolo Lanaro 1991