E' notte fonda e cupa. Prima che l'occhio si abitui e tenti di decifrare le presenze che si affollano o diradano d'intorno l'animo è avvolto da un silenzio raggelante e vi affonda, come sospeso nel vuoto angoscioso del sogno. Poche immagini come queste - d'acchito non saprei trovarne l'uguale – catturano al primo sguardo nei meandri del loro denso mistero, inghiottono nel sottosuolo della conoscenza. Spazi di penombre. Stanze buie attraversate da fasci d'aste in equilibrio precario. Altri spazi e stanze ritagliate in quelle e abitate dall'oscurità, dallo smarrimento del nulla, dalla labirintica paura del possibile. Che cos'è “immagine”, quando lo spirito è inchiodato alla soglia di codesto invalicabile abisso e insieme precipitato nei suoi vortici tenebrosi? Qui pulsa una vita che riecheggia e invade la nostra vita; questo muto ronzio di sibili e sussurri, d'istantanei trasalimenti di un tempo immemore, turba, profondo, l'animo nostro e lo colma e lo sommerge. Su un piano corroso stanno reperti di antiche geometrie ricoperti dai licheni di innumerevoli stagioni, dalle alghe di irraggiungibili antri marini; o ricoprono scacchiere modulate da palpiti lunari, magiche bacchette dell'infanzia del mondo. E' una punta d'acciaio che traccia, qui e ora, segni e parole, acido che corrode in misurabile tempo reale?
Lacasella, con un'abilità prodigiosa che sembra sfiorare l'eterna saggezza, scavalca, come avviene talvolta, l'accidente della tecnica, e con esso l'ora e il giorno, il ritmo del tempo quotidiano, il luogo dei gesti e delle azioni. E si trova e ci pone d'incanto in quell'oltre che è insieme il prima e il poi, l'essere di là della soglia dell'essere, e, pure, ciò che è sempre, non avvertito e indecifrato, dentro ciascuno di noi. Queste balaustre sono note alle nostre ansie, questi sbarramenti arrestano perentori i nostri slanci inespressi, , i cieli ribollenti, gli abbagli saettanti di bianche spume d'onda disegnano la visibile eco delle grida che s'intrecciano rissose sotto il limite della nostra ragione, e tra flebili luminescenze e grigi di velluto si modula lo spento sorriso delle nostre malinconie.
Più studiosi - da Lorenza Trucchi a Giulio Carlo Argan – hanno scritto di Lacasella illustratore muovendo dalle sue straordinarie tavole dantesche. Anche i fogli recenti, privi di ciò che non si saprebbe chiamare se non l'occasione e lo spunto letterario, si muovono sulla scia di quelle tavole, allo stesso modo inerenti a null'altro che ai battiti di una visionarietà interiorizzata e notturna. E' crescita ed elaborazione di codesta visione-visionaria la presenza più rarefatta e compositivamente calibrata dagli ominidi che popolavano quelle immagini come gnomi di antiche leggende, piuttosto che anime in pena. E l'accento si sposta ora, in un salto qualitativo e in un mirabile arricchimento di sensi, valenze e suggestioni, dai personaggi agli spazi in cui quelli, come foglie nei vortici del vento o nubi trascinate nell'immensità dei cieli corrono l'ignoto destino di itinerari senza fine.
Se proprio l'ampia raccolta dantesca aveva profilato un rischio di pur elaborato ripiegamento sul medesimo tema, oggi la misura fantastica, colmatasi nell'attesa di riprendere il suo corso, straripa insieme veemente e controllata, sorretta da un raro magistero strumentale; e non è più variazione ma costante reinvenzione di dati figurali apparentemente uguali e in realtà sempre inediti, com'è inedita ogni immagine creata dalla miracolosa linfa della tensione poetica. E' per questo miracolo che il giovane Lacasella ci parla dell'immemorabile età, del non misurabile spessore di quell'universo senza tempo che è l'animo umano.
Guido Giuffré 1986
Lacasella, con un'abilità prodigiosa che sembra sfiorare l'eterna saggezza, scavalca, come avviene talvolta, l'accidente della tecnica, e con esso l'ora e il giorno, il ritmo del tempo quotidiano, il luogo dei gesti e delle azioni. E si trova e ci pone d'incanto in quell'oltre che è insieme il prima e il poi, l'essere di là della soglia dell'essere, e, pure, ciò che è sempre, non avvertito e indecifrato, dentro ciascuno di noi. Queste balaustre sono note alle nostre ansie, questi sbarramenti arrestano perentori i nostri slanci inespressi, , i cieli ribollenti, gli abbagli saettanti di bianche spume d'onda disegnano la visibile eco delle grida che s'intrecciano rissose sotto il limite della nostra ragione, e tra flebili luminescenze e grigi di velluto si modula lo spento sorriso delle nostre malinconie.
Più studiosi - da Lorenza Trucchi a Giulio Carlo Argan – hanno scritto di Lacasella illustratore muovendo dalle sue straordinarie tavole dantesche. Anche i fogli recenti, privi di ciò che non si saprebbe chiamare se non l'occasione e lo spunto letterario, si muovono sulla scia di quelle tavole, allo stesso modo inerenti a null'altro che ai battiti di una visionarietà interiorizzata e notturna. E' crescita ed elaborazione di codesta visione-visionaria la presenza più rarefatta e compositivamente calibrata dagli ominidi che popolavano quelle immagini come gnomi di antiche leggende, piuttosto che anime in pena. E l'accento si sposta ora, in un salto qualitativo e in un mirabile arricchimento di sensi, valenze e suggestioni, dai personaggi agli spazi in cui quelli, come foglie nei vortici del vento o nubi trascinate nell'immensità dei cieli corrono l'ignoto destino di itinerari senza fine.
Se proprio l'ampia raccolta dantesca aveva profilato un rischio di pur elaborato ripiegamento sul medesimo tema, oggi la misura fantastica, colmatasi nell'attesa di riprendere il suo corso, straripa insieme veemente e controllata, sorretta da un raro magistero strumentale; e non è più variazione ma costante reinvenzione di dati figurali apparentemente uguali e in realtà sempre inediti, com'è inedita ogni immagine creata dalla miracolosa linfa della tensione poetica. E' per questo miracolo che il giovane Lacasella ci parla dell'immemorabile età, del non misurabile spessore di quell'universo senza tempo che è l'animo umano.
Guido Giuffré 1986